martedì 28 giugno 2011

La Mediazione tra Medico e Paziente

Dal 21 marzo 2011, anche la delicata materia dei conflitti tra medico e paziente diviene oggetto dell'istituto della mediazione (D. Lgs. n.28 del 4 marzo 2010 nonché dal decreto n.180 del 18 ottobre 2010).

Questo significa che medico e paziente, prima di rivolgersi ad un magistrato, dovranno obbligatoriamente accedere all'istituto della mediazione attraverso un Organismo di conciliazione iscritto regolarmente nel Registro istituito dal Ministero di Giustizia, al fine di tentare una conciliazione .

Il mediatore, tuttavia, sempre in base al citato decreto legge, è " la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo ".

La struttura del procedimento di mediazione sanitaria dovrebbe essere correlata anche all'impostazione di metodo e all'organizzazione del mediatore il quale dovrà cercare di modulare le fasi del procedimento conciliativo sulla base di quelli che sono gli effettivi bisogni delle parti nella fattispecie concreta.

Nell'ambito della mediazione sanitaria in particolare, la figura del terzo professionista chiamato a conciliare medico e paziente, dovrà condurre, gestire ed affrontare la mediazione tenendo bene in considerazione non solo i bisogni e gli interessi espressi ma soprattutto quelli più nascosti tra le parole non dette.

Un modello base del procedimento sarà comunque utile al fine di evitare eventuali fenomeni di caos che i conflitti in genere possono comportare, soprattutto quando questi ultimi tendono alla c.d. escalation rischiando di compromettere l'esito della mediazione.

Sotto questo ultimo profilo, ad esempio, nella fase introduttiva il mediatore deve cercare di illustrare al meglio alle parti coinvolte i passaggi della mediazione per poi richiamarli alla loro medesima attenzione quando discussione ed emotività prevalgono sugli atteggiamenti costruttivi.

Avv. Francesca Marrese

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IMMISSIONI

"Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi . Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso" (art. 844 c.c.) .

Detta norma trova applicazione anche nei rapporti tra comproprietari di un edificio in condominio ed è diretta ad equilibrare i rapporti tra il proprietario che produce le immissioni (per ragioni legate all'esercizio di un'attività economica o al semplice godimento della sua proprietà) ed il proprietario confinante che subisce passivamente tali immissioni.

La valutazione circa la tollerabilità delle immissioni è legata anche alla condizione dei luoghi; non è possibile, pertanto, indicare con assoluta precisione una soglia oltre la quale l'immissione è da considerarsi illecita ma la relativa valutazione è demandata al giudice che dovrà valutare ogni singolo caso .  
Inoltre, la norma prevede espressamente che le ragioni dei proprietari siano contemperate con quelle della produzione industriale (e in generale delle attività economiche), il che può comportare che il giudice autorizzi la prosecuzione delle attività industriali dietro pagamento di un indennizzo ai proprietari limitrofi.

Per quanto riguarda le attività commerciali, occorre sottolineare che il rispetto delle norme regolamentari che limitano le attività rumorose non esclude che le immissioni risultino di fatto intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c.

La norma citata ha carattere dispositivo, per cui nulla vieta che i proprietari adottino (ad es. nel regolamento condominiale) norme diverse aventi maggior rigore: in tal caso la valutazione circa l'intollerabilità delle immissioni sarà effettuata alla luce dei criteri stabiliti nel regolamento condominiale.

Avv. Francesca Marrese

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Inammissibilità della Revoca della Donazione per Ingratitudine

Una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, II Sez. (sent. 31 marzo 2011, n. 7487) ha dichiarato che non ricorre l'ipotesi di revoca della donazione per ingratitudine quando la donataria, stante la situazione di conflittualità tra i genitori donanti, chieda ad uno di questi di abbandonare l'abitazione acquistata con il denaro ottenuto dalla liberalità paterna e materna.

Nel caso specifico, due genitori avevano donato alla loro figlia il denaro occorrente per l'acquisto di un'abitazione, successivamente destinata a casa familiare, all'interno della quale vennero, successivamente, accolti sia il padre che la madre. La donataria, a causa della particolare situazione di conflittualità intercorrente tra i suoi genitori, decise di diffidare il padre a lasciare libera tale abitazione e a traslocare in un altro alloggio. Secondo tali giudici, l'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l'individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia, dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod. pen., e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva. Si è ritenuto, quindi, di escludere che ricorrano gli estremi di tale figura di ingratitudine nel comportamento della figlia donataria. 

Tale comportamento è stato valutato non come manifestazione di un atteggiamento di disistima delle qualità morali del padre donante o di mancanza di rispetto nei suoi confronti, né come un affronto animoso contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarietà ma come presa d'atto, da parte di costei, della frattura tra i suoi genitori, dipendente dalla loro disaffezione e distacco spirituale, e, quindi, del sopravvenire di una condizione tale da rendere incompatibile, allo stato, la prosecuzione della convivenza di entrambi i donanti nell'abitazione acquistata con il danaro ricevuto in liberalità.

Avv. Francesca Marrese

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martedì 7 giugno 2011

Rimedi posti a tutela del consumatore


In caso di anomalie materiali del bene acquistato (ad es. vizi della cosa venduta, mancanza di qualità del bene, etc.), ed indipendentemente dall'entità di esse, l'art. 130 del codice del consumatore accorda al compratore dei rimedi.

A sua scelta, il consumatore può chiedere la riparazione o la sostituzione gratuita della cosa. Tuttavia, quando la sostituzione o la riparazione siano impossibili o eccessivamente onerose, oppure il venditore non abbia riparato o sostituito il bene in un congruo termine dalla richiesta, o, da ultimo, quando la sostituzione o la riparazione effettuata abbia arrecato notevoli inconvenienti al consumatore, questi può richiedere, sempre a sua scelta, una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Per l'ultimo comma dell'art. 130 cod. cons., tuttavia, non potrà disporsi la risoluzione del contratto ove non siano state possibili, o si siano rivelate eccessivamente onerose, la sostituzione e la riparazione e il difetto di conformità sia di lieve entità.

Va comunque detto che la nuova disciplina non chiarisce come debba essere effettuata la scelta del compratore fra i diversi rimedi ed in che limiti la scelta già compiuta sia modificabile. Peraltro, il legislatore italiano ha di fatto contratto la facoltà di scelta del rimedio da parte del compratore, introducendo una procedimentalizzazione di tale scelta così scandita:

a) il consumatore denuncia il difetto di conformità;

b) il consumatore richiede uno specifico rimedio, con domanda giudiziale o in via stragiudiziale:

b1) il compratore non può revocare la scelta compiuta, sicché, chiesta la sostituzione, non può chiedere la riparazione, e viceversa, né può chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto;

b2) il venditore, entro un congruo termine, deve attuare il rimedio richiesto;

b3) il consumatore può comunque accettare un rimedio alternativo a quello richiesto, se offerto dal venditore in quanto disponibile;

c) il consumatore non richiede alcun rimedio:

c1) il consumatore può accettare l'offerta di rimedio alternativo disponibile formulata dal venditore;

c2) il compratore può respingere l'offerta di rimedio alternativo disponibile formulata dal venditore soltanto scegliendo un altro rimedio tipico, sempre entro il termine di prescrizione di ventisei mesi dalla consegna ex art. 132 comma 4 cod. cons..

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